sabato 30 luglio 2011

A TI SÓLO SE LLEGA



A ti sólo se llega
por ti. Te espero.

Yo sí que sé dónde estoy,
mi ciudad, la calle, el nombre
por el que todos me llaman.
Pero no sé dónde estuve
contigo.
Allí me llevaste tú.

¿Como
iba a aprender el camino
si yo no miraba a nada
más que a ti,
si el camino era tu andar,
y el final
fue cuando tú te paraste?
¿Que más podía haber ya
que tú ofrecida, mirándome?

Pero ahorae,
¡qué desterrado, qué ausente
es estar donde uno está!
Espero, pasan los trenes,
los azares, las miradas.
Me llevarían adonde
nunca he estado. Pero yo
no quiero los cielos nuevos.
Yo quiero estar donde estuve.
Contigo, volver.
¡Qué novedad tan immensa
eso, volver otra vez,
repetir lo nunca igual
de aquel asombro infinito!

Y mientras no vengas tú
yo me quedaré en la orilla
de los vuelos, de los sueños,
de las estelas, inmovíl.
Porque sé que adonde estuve
ni alas, ni ruedas, ni velas
llevan.
Todas van extraviadas.
Porque sé que adonde estuve
sólo
se va contigo, por ti.

(Pedro Salinas)

3 giugno


Per oggi ne ho abbastanza, ne ho davvero abbastanza di sperare e aspettare che qualcosa cambi. Che senso ha continuare? E mi chiedo anche che senso abbia continuare a chiedersi che senso ha. Di fronte ad un muro che mi si pone davanti ogni qualvolta ho voglia di correre e di spiccare il volo, che senso ha? Ha senso continuare a battere la testa per cercare di penetrarlo?

E non serve angustiarsi scrivendo.

Ma la penna va da sola: con fiumi di inchiostro palesa i miei vuoti.

E dolcemente mi violenta.

Il segreto forse è entrare nel fiume e lasciarsi trasportare dal moto vorticoso della corrente soltanto lasciandosi andare.

Ci vuole carattere. E io voglio vedere il mare. Non riesco a fermare la mano e queste rivelazioni che provengono dalla penna, una roller ricaricabile, mi angustiano. Credo che la penna sia per un esistenzialista l’arma peggiore, quella che cinicamente colpisce e a poco a poco uccide. Si tratta di un suicidio consapevole che fa patire orgasmiche sensazioni di perpetua inappagabilità. La penna svela la verità: l’uomo è limitato nelle possibilità e infinito nei desideri. È una lama arrotata che seziona in mille pezzi l’inconscio, facendolo emergere dall’ombra e smaniare di manifestarsi. Sto cercando, scrivendo, di liberare il mio inconscio sublimandolo.

Come uno specchio questo foglio di carta mi raffigura in ogni mio atto e, me ne rendo conto, non fa altro che erigere mura altissime attorno a me, in una maniera che spesso mi appaga, ma oggi quest’atmosfera mi soffoca e la penombra della mia stanza, creata dal neon sulla mia testa, e il fumo caldo dell'ultima sigaretta, a cui si aggiunge pesante il mio marasma interiore, mi fanno bramare di uscire dalla coscienza e di accasciarmi in un angolo buio ed eclissarmi per sempre.

Sono stanca.

Vedo sul muro per effetto del neon ombre gigantesche che sembrano voler comunicare con me. Non voglio.

I rintocchi di un vecchio orologio mi scuotono e torno a scorgere le ombre.

Dò loro consistenza ed esse vagano per la stanza, attorniandomi vorticosamente ed entrandomi dentro. L’ombra più grande ha assunto sembianze umane: è una danzatrice orientale, ha un sorriso beffardo e un fiore tra i capelli e, a piedi nudi, mi saltella davanti e poi nell’anima, leggera come una pioggerellina. Si beffa di me che come un condannato a morte aspetto rassegnata davanti al muro la mia esecuzione. Ride e le sue risa mi fanno male. Il mondo si ferma a guardare estasiato il movimento armonico dei suoi fianchi.

Un’altra ombra scende dal muro, chiede la parola e acquista potere, più della danzatrice, la quale viene relegata in un angolo, il mio stesso.

È il boia e ha la mia stessa immagine: sono io.

Afferra per un braccio la danzatrice e l’attira a sé e poi le entra dentro in un afflato orgiastico, estasiando anche me. Sono sempre io: ho sembianze da leggiadra e bella danzatrice e animo da boia. Un altro rintocco. E voglio ancora vedere il mare. Non ho più difese e mi rendo conto che da sempre sono una spugna che assorbe emozioni sotto forma di contatti umani e li ricaccia sotto forma di desideri. Ricevo impulsi violenti, li decodifico, li rielaboro e li rimetto al mondo. Solo così potrò forse sperare di sentirmi ad ogni passo esistere. E solo così, forse, riuscirò a colmare i miei stramaledetti vuoti.

Manca un quarto alle diciotto, ora stranissima del giorno e priva peraltro di significato, e io voglio ancora vedere il mare.

Vorrei bloccasse la violenza immotivata del vuoto urlante che mi risucchia e vorrei lasciarmi tutto alle spalle e ricostruirmi frammento per frammento, rinnovata nei tessuti e molto più giù. Piena di me e di tutto ciò che mi appartiene e mi è appartenuto. Ma sono solo un prodotto per nulla omogeneo di luce ed ombre e voci e pensieri. Dissonanti fra loro e da tutto il resto.

È proprio e tutto qui: nella mancanza di unità ed omogeneità. E il saperlo mi annienta. Fino al punto che spesso desidero davvero chiudere gli occhi e distoglierli definitivamente da me stessa per non vedere più né luci né ombre e non sentire più le voci e gli schiamazzi della mia coscienza spezzata. Vorrei chiudere ogni passaggio.

Partire vestita di silenzi. Armata solo della voglia di ricominciare.

Il delirio dei pazzi!, direbbe Igor.

Ma non credo affatto di esserlo e non la darò mai vinta a quanti vorrebbero farmelo credere. Penso invece di essere finalmente molto lucida e sulla via di una soluzione.

Ci sarà, poi, davvero una soluzione?

Brano tratto dal romanzo inedito

Il sole è già quasi del tutto sparito dietro le montagne
di Maria Luigia Longo

mercoledì 27 luglio 2011

Presencia


PRESENCIA

tu voz
en este no poder salirse las cosas
de mi mirada
ellas me desposeen
hacen de mí un barco sobre un río de piedras
si no es tu voz
lluvia sola en mi silencio de fiebres
tú me desatas los ojos
y por favor
que me hables
siempre

(Alejandra Pizarnik)


domenica 24 luglio 2011

Esistere psichicamente



Esistere psichicamente
Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
- soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli -
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu primavera non luglio non autunno ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch'io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia. Chiarore acido che tessi
i bruciori d'inferno
degli atomi e il conato
torbido d'alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.

(Andrea Zanzotto, Vocativo)


martedì 19 luglio 2011

Archeologia_


[...]

Mostrami il tuo nulla
che ti sei lasciato dietro
e ne farò un bosco e un'autostrada
un aeroporto, bassezza, tenerezza
e la casa perduta.

Mostrami la tua poesiola
e ti dirò perché
non fu scritta né prima né dopo.

Ah, no, mi fraintendi.
Riprenditi quel ridicolo foglio
scribacchiato.
A me serve soltanto
il tuo strato di terra
e l'odore di bruciato
evaporato dalla notte dei tempi.

[Archeologia, Gente sul ponte, W. SZYMBORSKA]


Buona estate!

Di ritorno da Parigi, sono in partenza per le Repubbliche Baltiche.
Prevedo inoltre un agosto di letture, di riflessione, scritture e approfondimenti.
Lavorerò finalmente al mio romanzo e porterò avanti un progetto con l'amico Antonello Veneri di parole e fotografia.
E dopo cercheremo un editore.
Coraggioso.
Saluto perciò tutti voi e vi dò appuntamento a settembre con nuovi testi e nuove prospettive .
Vi abbraccio,
a presto
m.l.

sabato 9 luglio 2011

28 maggio e 31 maggio


Ho un’orrenda voglia di scrivere adesso.

Ma sono troppo densa per riuscire ad abbandonarmi ad alterchi con me stessa. Sono oggi troppo piena di me. E inoltre la parola non riuscirebbe ad esprimere nemmeno la metà di quello che dovrebbe rappresentare. Sarebbe soltanto un segno. Nient’altro. Riprodurrebbe, forse, se sarò brava, immagini e creerebbe vite parallele, ma darebbe calore? Scalderebbe come una coperta? Non completamente. La parola oggi riuscirebbe soltanto a de-finire, de-limitare e, già solo per questo, a mortificare e deprimere. Sarebbe soltanto una costruzione retorica.

Il senso si perderebbe nell’istante in cui decido, prendendo la penna, di portare fuori da me quel sapore che ho in fondo allo stomaco, che attraversa l’intera mia persona per posarsi inerme sulla carta. Modificato. Abbellito. Sviscerato. Razionalizzato. Rimarrebbe lì, sul foglio, indifeso e malleabile, fino a diventare in molti casi diverso da come era stato sentito e, poi, pensato. Irriconoscibilmente stravolto nella sua essenza fino al punto che perfino io non lo riconoscerei e non lo sentirei più mio. E forse mi stupirei perfino di averlo avuto dentro e di averlo sentito. E in questo modo lo perderei: una volta liberato, il senso, diventa ambiguo: non è più uno solo ed unico, ma diventa tanti. Ecco: col frazionamento del tanto se ne frazionerebbe anche l’intensità, che scema a mano a mano che i frammenti si disperdono.

E tutto andrebbe in frantumi: pensiero, sentire, coscienza. Come la mia, adesso. Lo scrivo: la mia coscienza spesso va in frantumi. Vediamo che effetto mi fa rileggerlo: la mia coscienza va in frantumi. E il senso si disperde.

Come una nebulosa lo sento salire dallo stomaco e portare con sé un sapore intenso di un non so che di dolciastro e un po’ indefinito che contiene in sé tutti i sapori di un tempo ed alcuni nuovi, non del tutto ancora raggiungibili; va fino alla lingua e, percorrendola tutta, giunge alla punta e brucia, pulsa e smania di liberarsi, dandomi la brusca sensazione di non poterlo più contenere. È incontenibile e sguscia violento come un’eruzione. Una volta fuori esplode in mille forme. E non c’è più un solo sapore, ma una miriade. La mia coscienza e il senso che ho di essa sono in realtà una miriade. E tutto diventa piccolo e relativo. Come me.

Se solo potessi liberarmi di questo corpo! Non sarei più costretta a gesticolare. E a parlare. (Credo sia nel silenzio la vera essenza dell’essere). Spazierei, invece, in lungo e in largo, compatta, unica e sola. E non già con la disperata necessità di ricongiungere i miei frammenti. Potrei, in tal modo, sentire veramente l’altro da me e non invece sentire prima i miei frammenti e poi lasciare che l’altro si perda in essi e che occupi soltanto gli spazi vuoti tra l’uno e l’altro. È sempre così. Tanto che spesso preferisco non incontrare nessuno e chiudere ogni rapporto. Perfino con me stessa. Anche stasera.

31 maggio

Scivola verso la notte anche quest’ultima giornata di maggio ed è più denso anche il senso che ho io della notte. Mi muovo a fatica in questa densità di sentire. Tutta la mia smania mi attraversa le membra e mi avvicina, oggi di più, all’io.

È molto tardi, ho voglia di uscire, di allontanarmi con l’auto e raccogliere tutto quello che la notte è capace di offrire. Mi eccita già solo l’idea di correre, in auto, sotto un cielo così tranquillo e di un blu perlato e morbido. Silenzioso. La strada è deserta e questo mi va bene: non voglio nessuno con me.

L’aria è molto calda e leggera e mi dà la lieve sensazione che ovatti la mia presenza in sé, dando all’intera immagine un non so che di surreale e quasi fiabesco. La luce chiara della luna immensa riduce quasi del tutto l’oscurità, immergendo ogni cosa in un lieve gioco di chiaroscuri artistici, fatti quasi per un voluto incanto. Sono un gioco di luci anch’io e se la strada fosse diritta lascerei il volante andare dove vuole la notte, o la luna (che sembra essere la vera artefice di questo splendore): è grande, perfettamente tonda, come fatta da un compasso gigante mosso con maestria da una mano che entra nel quadro senza creare scompiglio; sembra sia sorretta dalla piana erbosa che precede la riga dell’orizzonte. È gialla, di un giallo chiaro che, in contrasto col blu del cielo, dà un tocco di profondità.

Tutto sembra essere fisso, immobile, cristallizzato nell’immagine che ho avuto al primo sguardo: gli alberi ai bordi della strada, i campi circostanti, lo scorcio di paesaggio sotto la luna immensa, la forma il colore e la grandezza della luna stessa, l’aria calda e inebriante, il cielo inebriante. Il cielo.

Continuo a scivolare verso la notte, ricca di immagini troppo vive per essere contenute lì, con tutte le altre e con tutto il resto. Troppi istanti: e sgorgano tutti in un pianto violento, insensato: singulti contro quella luna immobile.

Per un attimo trema la terra. O sono io a tremare.

Non so. Non so distinguermi dal di fuori.

Mi sono intanto fermata al lato della strada. Mi trovo in un luogo periferico. La strada è ancora deserta, ma popolata di immagini e di ricordi. Respiro l’odore pungente dei vecchi fantasmi che abitano quell’angolo ancora troppo grande della memoria. Resto un po’ sospesa tra l’ieri e l’oggi, in silenzio. Sorrido di me, così melanconica. Ho più ricordi che se avessi cent’anni! Infatti non sono sola: sono infestata dai soliti fantasmi. Magari potessi davvero godere della vera solitudine muta!

Sorrido, scarto una caramella balsamica e vado via.

Torno a casa: sono quasi stremata. Stremata dalla luna (sembra, per assonanza, il titolo di un film né bello né brutto) e stremata da questo ennesimo viaggio mentale.


Brano tratto dal romanzo inedito


Il sole è già quasi del tutto sparito dietro le montagne

di Maria Luigia Longo

mercoledì 6 luglio 2011

28 maggio




Fuori c’è sole. Sole ovunque e questo mi dà noia.



Mi irrita già soltanto il pensiero di dover camminare alla ricerca di un po’ d’ombra, di un bell’angolo fresco e non invaso dal sole. Lo vorrei non invaso da nulla. Neppure da me. La flemma degli ultimi giorni ha riempito tutto il mio tempo, in realtà svuotandolo e rendendo me, i miei movimenti e i miei pensieri privi di slancio. Molli. Sto sudando abbondantemente. Per effetto del sole sull’asfalto la strada fuma e sembra mutare sia nella forma che nei colori. Sembra si sciolga, avvolta da un velo opaco. E si contorce.



Io la percorro, pesantemente. La pesantezza deriva proprio dal fatto che non riesco a vederne la fine: non vedo né la destinazione della strada serpeggiante né la mia. E questo mi irrita molto più del caldo e del sole. Mi sgomenta questo mio essere provvisoria nella mia stessa vita.



Forse dovrei studiare.



Ora, però, non ha più importanza: la mente sta vagando di nuovo verso altri luoghi e altre dimensioni. Rincorre i pensieri come fa un cane con la propria coda: con frenesia e stizza. Come ipnotizzato da essa. Ma mentre il cane, stanco, si accuccia e dorme in un angolo o si concentra su altri svaghi, la mente continua frenetica suo malgrado a rincorrere altre idee, in un incessante moto vorticoso. Non riesce a concentrarsi per più di un attimo su di uno stesso oggetto o idea.



L’ho notato anche stamattina: Igor mi parlava ma io non riuscivo a seguirlo se non per due o tre frasi iniziali, poi senza intenzione cominciavo a vagare con la mente per chissà dove e poi tornavo per riafferrare altre frasi smozzicate. Tutto il giorno così. In volo, lontana da me. Il pensiero è indipendente anche dalla volontà di pensare e il pensato è svincolato perfino dall’attività di pensiero.



I pensieri mi sfuggono: sgusciano dal nulla e si perdono in mezzo ad altri. E la mente non li ritrova più, non li distingue neppure, non li ricorda, li insegue affannosamente, viene distratta da altri pensieri, che rincorre invano. E, quando riesce a ritrovarli, non ne ha piena coscienza, non riesce a definirli o a spiegarli.



Ha solo la remota percezione di averli già pensati. E non so niente di loro. Non so né dove, né come, né chi o che cosa.


Ecco: la mia mente non sa né dove, né come, né chi o che cosa.


È sempre questo il punto. Oggi. Ieri, anche. Oggi poi sarebbe troppo faticoso pretendere che la volontà ritrovi il bandolo.




Oggi non ho né la forza né la voglia di ingaggiare la mia partita a scacchi con la morte. Soccomberei di certo e senza astuzie…oggi.



Torno a casa, è meglio.



Forse dovrei telefonare ad Igor. Forse domani.



Brano tratto dal romanzo inedito


Il sole è già quasi del tutto sparito dietro le montagne


di Maria Luigia Longo


lunedì 4 luglio 2011

7 maggio pomeriggio

Sono passati pochi giorni dalle ultime righe, ma dentro di me è passato moltissimo.

In questo frattempo di istanti, di pieni e di vuoti di tempo, ho visto i miei pensieri dilatarsi fino all’inverosimile e assumere la forma del tempo lento e spento che mi ha avvolto senza che riuscissi ad estrapolarmi dal tutto. Nient’altro che sfumature opache in un mare di indistinto colante non-so-dove e non-so-perché. Ho visto la mia coscienza andare in frantumi e perdere di consistenza e alleggerirsi di colpo per poi sparire, lasciandomi inerme, spaesata e distillata.

Goccia a goccia in tutto questo lasso mi sono persa l’anima. Non so se ho perso l’anima o solo la coscienza della mia anima.

L’anima...come se l’anima fosse tutta qui, come se potesse essere circoscritta e razionalizzata e racchiusa nei pensieri, come un sassolino in un pugno piccolo come il mio. Eh no, l’anima spazia! L’anima è. L’anima è una coperta immensa, calda e avvolgente, con la quale avanzo sicura e nella quale riverso tutti i fremiti e i languori, anche i più piccoli e leggeri. Una coperta morbida tutta per me. Ogni volta più calda, ogni volta più colorata. Vorrei che avesse i colori dell’aereo che l’anno prossimo mi porterà finalmente via. Verso sud.

In silenzio e senza grossi clamori. Vorrei avesse i colori della completezza.


Brano tratto dal romanzo inedito

Il sole è già quasi del tutto sparito dietro le montagne

di Maria Luigia Longo