mercoledì 31 dicembre 2014

Auguri!


Qui


Stare fermi, ridere, dormire,
muoversi voglio dire, correre,
si può. Ma non si può mancare
a quello che porta via,
che porta qui dove si è sempre, nel posto
dove i posti si trovano, qui, dove
qualcosa importa.

E qui si sta, come un cane
lasciato chiuso in macchina
al sole, in un piazzale quasi vuoto,
una bestia per per ogni cric nella ghiaia
drizza le orecchie, e si scuote al minimo suono
di passi, lontano, o di risate.

Io provo a pensare, e ragiono,
e dentro sento tutta la testa che abbaia.

(Umberto Fiori)

lunedì 29 dicembre 2014

Poesie

*

FRASE

Quando un tram carico di gente
ti lascia a un incrocio, e sei solo
sul piazzale, davanti a un casamento
che in piena luce sta lì
piantato, chiaro, chiuso come un monte,
ti sembra di capir bene,
eppure non sai rispondere.

Ma poi a volte dentro
– giù, giù, sul fondo,
dove tutto il fiato è finito
e niente si lascia dire – viene una frase
e senti che sta già in piedi, che è viva,
che è vera come un naso, come una mano.

(Così al museo
due sale più lontano
uno sente arrivare una comitiva.)


*

(Da Chiarimenti 1995)

SPIEGAZIONE DELLE SIRENE

Le cose sono lì
svogliate, distratte: il mondo
sta insieme con lo sputo.

Colpa delle persone
che non rispondono bene al saluto.

Per questo giorno e notte
chiedono spazio
le sirene qua intorno,
chiedono aiuto.


*

RAMPICANTE

Parlando con qualcuno
è bello quando le frasi
vengono senza sforzo e vanno a mettersi
proprio dove dovevano,
come su un muro i rami
di un rampicante.

Ma se a cena comincia una discussione
com’è umiliante alla fine, senza più fiato,
starsi di fronte
a muso duro, a rinfacciarsi
di non sapere mai
nessuno niente.

(Umberto Fiori) 


domenica 28 dicembre 2014

Midaregami


6

Se qui adesso
ripenso al percorso
della mia passione -
somigliavo a un cieco
senza paura del buio.

10

Dopo il mio bagno
alla sorgente calda
questi vestiti
sono ruvidi sulla pelle
così come il mondo. 

41

Senza domandarci
se giusto, sbagliato,
se la vita di poi, 
se la fama... Tu ed io
amandoci ci guardiamo.

(Yosano Akiko)




martedì 23 dicembre 2014

domenica 21 dicembre 2014

Lo specchio e me

                                                          
                                              Ad una preadolescente

Al mattino
oggi
mi specchio

Spingo il sorriso
fin dietro l’orecchio
guardo in viso
quest’altra me
che si alza ogni giorno
in cerca di sé.

Se solo potessi
non dovermi cercare
avrei tutto il tempo
mondo
per poterti amare.

(Maria Luigia Longo, Poesie/Cantiere, 20 Novembre 2014)


sabato 20 dicembre 2014

Trasbordo.



Sono ridotto a una cornice
eppure mi attraversano
sentimenti bellissimi.
L'uomo che giace e si oppone
non è l'uomo indigente, l'escluso.
Dicono i proverbi:
messaggero fedele porta salute.

(Maurizio Cucchi, da Poesia della fonte)


giovedì 18 dicembre 2014

Resti. Per noi rimangono le ossa degli animali e degli uomini. Dove



*

Resti. Per noi rimangono le ossa degli animali e degli uomini. Dove
una volta un ragazzo e una ragazza facevano l’amore, ci sono ceneri
e macchie di sangue e pezzettini di unghie e ricci pubici e una vela
piegata che usarono con fini oscuri e macchie di sperma sopra il
fango e teste di gallo e una casa diroccata disegnata sulla sabbia, e
pezzetti di fogli profumati che furono lettere d’amore e la rotta sfe-
ra di vetro di una veggente e lillà appassiti e teste tagliate su guan-
ciali come anime impotenti tra asfodeli e tavole crepate e scarpe
vecchie e vestiti sul fango e gatti malati e occhi incrostati in una
mano che scivola verso il silenzio e mani con anelli e schiuma nera
che schizza su uno specchio che nulla riflette e una bambina che
dormendo asfissia la sua colomba preferita e monetine di oro nero
risuonanti come zingari di dolore che suonano i loro violini a con-
chiglie del mar Morto e un cuore che batte per ingannare e una rosa
che si apre per tradire e un bambino che piange di fronte a un cor-
vo che gracchia e l’ispiratrice si maschera per eseguire una melodia
che nessuno capisce sotto una pioggia che calma il mio male. Nes-
suno ci ascolta, per questo pronunciamo preghiere, ma guarda! Lo
zingaro più giovane sta decapitando con i suoi occhi di saracco la
bambina della colomba.

Io ero predestinata a nominare le cose con nomi essenziali. Io non
esisto più e lo so; quello che non so è che cosa vive al posto mio.
Perdo la ragione se parlo, perdo gli anni se sto in silenzio. Un vento
violento distrusse tutto. E non aver potuto parlare per tutti quelli
che dimenticarono il canto.

*

Restos. Para nosotros quedan los huesos de los animales y de los
hombres. Donde una vez un muchacho y una chica hacían el amor,
hay cenizas y manchas de sangre y pedacitos de uñas y rizos púbicos
y una vela doblegada que usaron con fines oscuros y manchas de es-
perma sobre el lodo y cabezas de gallo y una casa derruida dibujada
en la arena y trozos de papeles perfumados que fueron cartas de
amor y la rota bola de vidrio de una vidente y lilas marchitas y ca-
bezas cortadas sobre almohadas como almas impotentes entre asfó-
delos y tablas resquebrajadas y zapados viejos y vestidos en el fango
y gatos enfermos y ojos incrustados en una mano que se desliza ha-
cia el silencio y manos con sortijas y espuma negra que salpica a un
espejo que nada refleja y una niña que durmiendo asfixia a su palo-
ma preferida y pepitas de oro negro resonantes como gitanos de
duelo tocando sus violines a orillas del mar Muerto y un corazón
que late para engañar y una rosa que se abre para traicionar y un
niño llorando frente a un cuervo que grazna, y la inspiradora se en-
mascara para ejecutar una melodía que nadie entiende bajo una llu-
via que calma mi mal. Nadie nos oye, por eso emitimos ruegos,
pero ¡mira! El gitano más joven está decapitando con sus ojos de serrucho a la niña de la paloma.

Yo estaba predestinada a nombrar las cosas con nombres esenciales.
Yo ya no existo y lo sé; lo que no sé es qué vive en lugar mío. Pierdo
la razón si hablo, pierdo los años si callo. Un viento violento arrasó
con todo. Y no haber podido hablar por todos aquellos que olvidaron el canto.


(Alejandra Pizarnik)

mercoledì 17 dicembre 2014

Sorvegli il passaggio. Proteggi



7

Sorvegli il passaggio. Proteggi
la piccola porta delle parole.
Il passaggio
degli altri, che vanno, la nuda
possibilità di passare. O t’illudi
di farlo. Quanto a te,
il tuo passare sta forse nel non impedire
che questo abbia luogo
che tutto si muti e ogni cosa si perda
e si trovi diversa, che nulla
sia fatto prigione o negato. I signori
volevano altro, lo sai: li hai traditi
una volta per sempre. Li immagini fermi,
statue bianche di sale, glaciali stendardi,
circondati dai molossi silenziosi,
le inutili merci. Distanti,
tanto distanti da qui, dalla piccola porta
che vegli.


[Fabio Pusterla, da Argéman, per Marcos y Marcos]

domenica 14 dicembre 2014

No te salves


Non restare immobile
sul bordo della strada
non congelare la gioia
non amare con noia
non ti salvare adesso
né mai
non ti salvare
non riempirti di calma

non appartare del mondo
solo un angolo tranquillo
non lasciar cadere le palpebre
pesanti come giudizi

non restare senza labbra
non t’addormentare senza sonno
non pensarti senza sangue
non ti giudicare senza tempo

però se
malgrado tutto
non puoi evitarlo
e congeli la gioia
e ami con noia

e ti salvi adesso
e ti riempi di calma
e apparti del mondo
solo un angolo tranquillo
e lasci cadere le palpebre
pesanti come giudizi
e ti asciughi senza labbra
e ti addormenti senza sonno
e ti pensi senza sangue
e ti giudichi senza tempo
e resti immobile
al bordo della strada
e ti salvi
allora
non restare con me.

+++++

No te quedes inmóvil
al borde del camino
no congeles el júbilo
no quieras con desgana
no te salves ahora
ni nunca
no te salves
no te llenes de calma

no reserves del mundo
sólo un rincón tranquilo
no dejes caer los párpados
pesados como juicios

no te quedes sin labios
no te duermas sin sueño
no te pienses sin sangre
no te juzgues sin tiempo

pero si
pese a todo
no puedes evitarlo
y congelas el júbilo
y quieres con desgana

y te salvas ahora
y te llenas de calma
y reservas del mundo
sólo un rincón tranquilo
y dejas caer los párpados
pesados como juicios
y te secas sin labios
y te duermes sin sueño
y te piensas sin sangre
y te juzgas sin tiempo
y te quedas inmóvil
al borde del camino
y te salvas
entonces
no te quedes conmigo.

(Mario Benedetti)

domenica 7 dicembre 2014

Le nuvole




Nuvole… Oggi sono consapevole del cielo, poiché ci sono giorni in cui non lo guardo ma solo lo sento, vivendo nella città senza vivere nella natura in cui la città è inclusa.

Nuvole… Sono loro oggi la principale realtà, e mi preoccupano come se il velarsi del cielo fosse uno dei grandi pericoli del mio destino.

Nuvole… Corrono dall'imboccatura del fiume verso il Castello; da Occidente verso Oriente, in un tumultuare sparso e scarno, a volte bianche se vanno stracciate all'avanguardia di chissà che cosa; altre volte mezze nere, se lente, tardano ad essere spazzate via dal vento sibilante; infine nere di un bianco sporco se, quasi volessero restare, oscurano più col movimento che con l'ombra i falsi punti di fuga che le vie aprono fra le linee chiuse dei caseggiati.

Nuvole… Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l'intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente più il niente di me stesso. ("qui" sono io, oggi)

Nuvole… Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!

Nuvole… Continuano a passare,alcune così enormi ( poiché le case non lasciano misurare la loro esatta dimensione ) che paiono occupare il cielo intero; altre di incerte dimensioni, come se fossero due che si sono accoppiate o una sola che si sta rompendo in due, a casaccio, nell'aria alta contro il cielo stanco; altre ancora piccole, simili a giocattoli di forme poderose, palle irregolari di un gioco assurdo, da parte, in un grande isolamento fredde.

Nuvole… Mi interrogo e mi disconosco. Non ho mai fatto niente di utile né faro niente di giustificabile. Quella parte della mia vita che non ho dissipato a interpretare confusamente nessuna cosa, l'ho spesa a dedicare versi prosastici alle intrasmissibili sensazioni con le quali rendo mio l'universo sconosciuto. Sono stanco di me oggettivamente e soggettivamente. Sono stanco di tutto e del tutto di tutto.

Nuvole… Esse sono tutto,crolli dell'altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente; brandelli indescrivibili del tedio che loro attribuisco: nebbia condensata in minacce incolori; fiocchi di cotone sporco di un ospedale senza pareti.

Nuvole… Sono come me un passaggio figurato tra cielo e terra, in balìa di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l'oscurità, finzioni dell'intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo.Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza continua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un cielo falso e disfatto.

(Fernando Pessoa, dal Libro dell'Inquietudine)

domenica 30 novembre 2014

Non sto pensando a niente



Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l'aria notturna,
fresca in confronto all'estate calda del giorno.
Che bello, non sto pensando a niente!

Non pensare a niente
è avere l'anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita...
Non sto pensando a niente.
È come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente...

(Fernando Pessoa)

martedì 25 novembre 2014

Per lei


Per lei voglio rime chiare, 
usuali: in -are. 
Rime magari vietate, 
ma aperte: ventilate. 
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini. 
O che abbiano, coralline, 
le tinte delle sue collanine. 
Rime che a distanza 
(Annina era cosí schietta) 
conservino l'eleganza
povera, ma altrettanto netta. 
Rime che non siano labili, 
anche se orecchiabili. 
Rime non crepuscolari, 
ma verdi, elementari. 
(Giorgio Caproni)

lunedì 24 novembre 2014

Antica foto


un anno, hai un solo anno
nel seggiolino di vimini
seduto e assorto
con le mani intrecciate
e gli occhi bassi,
ah, potere rientrare
dentro la foto, risentire
il sangue e le figure,
no, non così grigio
il muro lo ricordo
ma di bocche di lupo
cosparso e acceso,
le viole tutt’attorno
al grande pino,
il bosso che profuma
verde e amaro,
l’infanzia è la stagione
dei colori
dentro le vene t’entrano
confusi,
dinnanzi agli occhi
ardono assoluti

sei nato dentro il freddo
e tra la neve,
quando ricade
e copre i favagelli
e gli anemoni piega
sotto il bianco,
l’inquieta primavera
dentro la terra s’agita
e nel sangue

e mai come in quell’anno
cadde la neve
e tu quel bianco, assorto
guardi dai vetri
e vuoi che non finisca,
che tutto copra,
c’è il fuoco nel camino
e la polenta
e dentro il letto
avrai la brace accanto,
quello di Camorciano
fa il bersagliere,
la terra dove combatte
è tutta neve,
alta più d’una casa
ma tutta nera
per il fumo e gli scoppi
di quegli altri,
spara con la mitraglia
contro i carri,
disperso è quel soldato
che non ritrovi
dalla neve coperto
e poi dissolto

magari per un giorno
è ritornato tuo padre
dalla terra che si vede
quando non c’è una striscia
dentro il cielo,
uno straccio di nube
bianco o scuro,
dalla Cesana alta
o dal campanile,
dicono ch’è una terra
tutta sassi
con buche grandi
come l’orto,
lì i ribelli lo aspettano
che passi

dopo lui va nell’orto
per l’insalata
e io gli vado dietro
tra la gran neve,
tira fuori i ceppi
verdi e molli,
ho i piedi che mi gelano
bagnati
e lui mi prende in braccio
con una mano,
con l’altra tiene stretta
l’insalata

erano giorni scuri,
scure neve e sabbia
e scuri i monti
dove gli uomini muoiono
andati al fronte,
scuro anche il cielo
che la sirena annuncia,
l’infanzia altro corso
segue della storia,
mai come allora
accesi sono i colori,
e tulipani rossi
lungo i fossi,
giunchiglie a branchi
per tutti i greppi
quelle bocche di lupo
che tu raccogli
padre per me salito
con lunga scala
sulla muraglia

tra inverno e primavera
sono nato,
sempre mi porto dentro
l’erbe e i fiori
che la neve sempre
tronca e spezza,
e poi loro tenaci
tornano fuori
tra le crepe gelate
dalla terra

e quel canto rammento
il più lontano
che nel bosco c’invita
via dal fuoco,
dal dolore
che sempre
ci accompagna.

(Umberto Piersanti, Inedito, marzo 2011)

domenica 23 novembre 2014

Vivere oggi


Vivere oggi
è contare le parole
che diciamo
per arrivare a domani.

I giorni scorrono
a raccogliere fonemi
le loro voci
che scoprono i silenzi.

Oggi dietro le parole
c’è sempre la speranza
di trovarne delle nuove.

(Maria Luigia Longo, Poesie/Cantiere, Novembre 2014)

domenica 16 novembre 2014

Nudo


Godo in occhi marini
paeselli colorati
ai tuoi fianchi di carne.
Soffice nel vento dei capelli
ricrei orride forme
sul letto agitato del mare.
M'alzo in bavero di sonno
tra le rupi, fischiando gelido:
la mia testa di broncio
scava un abbraccio nelle sue spalle.

(Alfonso Gatto)


sabato 15 novembre 2014

OCCHIALI


Mi sono riadattato agli occhiali (che la patente, a me, rende obbligati, ormai,in un paio solo di giorni: vedo tutto più netto: (ma niente mi è, per questo,
diventato migliore, in verità: un semaforo è sempre un semaforo, un marciapiede
è un marciapiede: e io sono sempre io, così)
(quanto al doloroso senso di capogiro,
vaticinato, con l’emicrania, da un Istituto Ottico di corso Buenos Aires, al quale
mi sono rivolto, questa volta, l’ho sperimentato e l’ho superato): (l’oculista
affermava che, con il tempo, io mi ero costruito una mia rappresentazione arbitraria
della realtà, adesso destinata, con le lenti, a sfasciarsi di colpo):
e ho potuto
sperare, per un attimo, di potermi rifare, a poco prezzo, una vita e una vista)

(Edoardo Sanguineti)

domenica 9 novembre 2014



Facevo il viale: per arrivare al campo.
Attorno, uomini coi badili,
e io piangevo poco.
Ma davanti alla scatola col tuo vago sorriso,
bellissimo, con la camicia scura aperta
e il distintivo del ferito,
il gelo mi è venuto dentro.
"Cosa vuoi che ti dica?" ho fatto allora
con le mie rose in mano e con paura,
"Forse è già il tempo dell'indifferenza".
Forse sono decotto, forse io stesso,
sono solo memoria di me stesso.


(Maurizio Cucchi)

mercoledì 5 novembre 2014

Le mani



Queste tue mani a difesa di te:
mi fanno sera sul viso.
Quando lente le schiudi, là davanti
la città è quell'arco di fuoco.
Sul sonno futuro
saranno persiane rigate di sole
e avrò perso per sempre
quel sapore di terra e di vento
quando le riprenderai.

(Vittorio Sereni, da Frontiera)

domenica 2 novembre 2014

In me il tuo ricordo





In me il tuo ricordo è un fruscio
solo di velocipedi che vanno
quietamente là dove l'altezza
del meriggio discende
al più fiammante vespero
tra cancelli e case
e sospirosi declivi
di finestre riaperte sull'estate.
Solo, di me, distante
dura un lamento di treni,
d'anime che se ne vanno.
E là leggera te ne vai sul vento,
ti perdi nella sera.

(Vittorio Sereni da Frontiera)

martedì 28 ottobre 2014

Tangeri









I bambini.

Il giorno fa i capricci e sul tardi
al netto degli sguardi e sui tralicci
si alzano les enfantes de rue
e giocano a scacchi col destino che lì
vicino ogni giorno è rendez-vous
mancato, invisibile trama di vuoti.

Si muovono in branco legati poi
da un laccio alla gola dietro al muro
scrostato che stringe che sbarra che è
principio e fine di un orizzonte
perduto. I bambini che non sono
bambini hanno occhi mobili con

corpicini bruciati dal sole da
ombre da mozziconi e da adulti
indifferenti colpevoli e silenti;
les enfantes de rue sono lì
senza chiedere, senza voce e con il
solo scopo di arrivare al giorno

del bagno, del pranzo e della cura
senza domande. Il padre è il branco
la madre la strada e niente ha parola
di domani. Qui e ora e non plus ultra.


***

La strada e la conta.


Un due tre stella la vita è sempre quella
cinque sei sette anni e il gioco è
arrivare vivo fino a sera; chi c’è?

Son io son io che trattengo il fiato
e nel dirupo tra la mancata colazione
e per pranzo colla o mozzicone
resto in piedi e controvento
a rischiare ogni giorno uno spavento.


Il branco nell’erba e poi tra i vicoli
si allarga con i suoi tentacoli
braccine annerite e logore di
giorni che passano su calendari
sbiaditi. Uno di meno uno di più
chi manca stasera tornerà più? 

Ma tu
che mi guardi e forse mi vedi
cosa vedi?
Cosa credi
del mio giorno disabitato?

Il branco di bimbi 
- due tiri a palla, due di colla -
è stanco e chiude all’alba la notte
qualcuno steso con lividi di botte
- la coperta per terra come lettone -
appoggia il cuore svuotato accanto al pallone.


*** 

E io.

Cammino incontro alla sera
ascolto viottoli bui e voci migranti
rincorro figure sdrucite di infanti
e li scovo dentro, teneri esitanti.

Tangeri è sonno, leggero
è riposo dopo la fuga.
Mi accoglie il risveglio presente
perché quando sono qui
io sono qui.

Il buio non stringe
e di notte le voci
non hanno strascichi.
Tutto in fondo tace.
I sogni tornano
a spaesare parole
a cominciare mondi.

Di nuovo c’è
che il fuori è
ritrovato curioso incontro
come fosse
di nuovo
incanto.

(Maria Luigia Longo, Poesie/Cantiere, agosto 2014, foto di Michela Magni)





Viaggiare è sempre un buon modo per ritornare a sé e Tangeri, per me, ha rappresentato un viaggio nel viaggio. E, dunque, un ritorno ma anche una  ripartenza. Un andare attraverso le forme della ricerca per particolari, lembi e bagliori.
E lungo la strada ho raccolto un più composito modo di leggere e ho incontrato occhi che mi hanno forse mostrato un diverso modo di guardare.
Per il resto, "[...] Il cammino s'è fatto più stretto, ma ogni giorno avanza."







domenica 26 ottobre 2014

Poesia d'amore per Berto.


Tutti i baci di Lesbia e di Catullo
e gli altri dell'amante più vorace
e di quello più incauto ed estenuato
- d'inverno con la lampada azzurrata
e l'improvviso stupore dell'alba,
nei pomeriggi lunghi dell'estate -
noi ci scambiammo come il dono estremo
che doveva bastarci dentro l'attimo
che in un attimo solo ci toccava.

(Elio Pecora) 

giovedì 23 ottobre 2014

Ancora la vita


Ancora la vita
come fosse un altrove
da abitare nel sogno
e questa - di rabbie, di attese,
e pure cara, cercata -
la porta da valicare,
una vigilia, una sosta.

Ancora l'ansia,
come scura semenza
da concimare, annaffiare,
e in essa la mappa
per seguitare il viaggio.

(Un pomeriggio, a Sabaudia,
nella tua ultima estate
- dal terrazzo tua madre
chiama il mare che avanza -
maledici il catrame
dentro la sabbia, lungo la battigia,
e stupisci dell'olio
di uliva che smacchia).

(Elio Pecora) 

lunedì 20 ottobre 2014

Schiumeggia sognando



*
…schiumeggia sognando. Il fissatore apre
l’acquaragia, altre movimentazioni
forniscono acerbe, suppuranti idee
di restauri in trasloco in parte fatto
nel frastornio raffinato, un sedile
vuota il rosmarino allietato che unge
due candele, un metro a stecche, un dolore
composto come quello angelicato
dei vergini al feretro paterno, è uso
calcolato in decimali esigenze
di rinnovo, d’incunabolo a attrito
radente e i solfeggi accurati in zone
di elettrostrizione ai giunti che vagano
nell’erba alti e perplessi, i giunti cardanici.


(Alfonso Guida, San Mauro Forte, primavera 2007)

domenica 19 ottobre 2014

Lucania


Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte
con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.

Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d’oro, problematico e sottile,
divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati.

Il sole sbieco sui lauri, il sole buono
con le grandi corna, l’odorosa palato,
il sole avido di bambini, eccolo per le piazze!
Ha il passo pigro del bue, e sull’erba
sulle selci lascia le grandi chiazze zeppe di larve.

Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granturco, granofino)
e il vino non è squillante
(menta dell’Agri, basilico del Basento)
e l’uliva ha il gusto dell’oblio,
il sapore del pianto.

In un’aria vulcanica, fortemente accensibile,
gli alberi respirano con un palpito inconsueto;
le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo.
Cumuli di macerie restano intatte per secoli:
nessuno rivolta una pietra per non inorridire.
Sotto ogni pietra, dico, ha l’inferno il suo ombelico.
Solo un ragazzo può sporgersi agli orli
dell’abisso per cogliere il nettare
tra i cespi brulicanti di zanzare e di tarantole.

Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse.
tornerò senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.
Udrò fumare le stoppie, le sterpaie,
le fosse, udrò il merlo cantare
sotto i letti, udrò la gatta
cantare sui sepolcri?

(Leonardo Sinisgalli)

sabato 18 ottobre 2014

Lucania



M'accompagna lo zirlìo dei grilli
e il suono del campano al collo
d'un'inquieta capretta.
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d'argento
e là nell'ombra delle nubi sperduto
giace in frantumi un paesetto lucano. 


(Rocco Scotellaro) 

giovedì 16 ottobre 2014

Dislocamenti.



Si vive da acrobati nelle scissioni plurime
saltellando qua e là ondivaghi a caccia
di parti implose e finite nei recessi infiniti
d’inconsci di tutti i tipi e parti esplose
disseminate e visibili ma inarrivabili
per la loro folle mobilità
nell’area della ritrosia.
Il pensiero sottratto dunque
dondola a pochi metri dal corpo
lo si contempla come forma vagante
desiderante e non pregnante,
da cui giungono riflessi di fragili ragioni
reperti di logiche erranti
fanali tenui nella notte senza stelle.
Alle pareti del cervello
vi sono ancora intonacate congetture
ipotesi di pensiero a venire,
nessuno può dire se sarà unitario
dopo il grande sbando di fuga
se tornerà ad esprimersi, tutto blando e feroce.

(Vito Riviello)

domenica 12 ottobre 2014

E c’è che manca.



E c’è che manca
il fluire del tempo
tutto intero
quando il cielo
pur se nero
era vero.

(Maria Luigia Longo, Poesie/Cantiere, 1 ottobre 2014)


Se il silenzio è più intenso


Se il silenzio è più intenso
non solo d'ogni rumore
ma d'ogni più alta musica
e la quiete più vasta
non solo delle tempeste
ma del respiro delle maree
io non ti chiamerò più: vita
ma ti darò un nome più dolce.

(Lalla Romano)

martedì 7 ottobre 2014

Un'altra ora e ce ne sono state.


Un'altra ora e ce ne sono state,
ce ne saranno ancora, forse meno
di prima, contenute nelle case,
costrette nelle cose, e forse troppe
ne restano, di ore da riempire,

di ore già passate,

non aggregate, pezzi di giornate
a farne uno, un giorno per intero,
almeno uno, un giorno che sia vero:
ci basterebbe, credo, nel frastuono
iniquo d'ore, un giorno solamente.


(Aldo Nove, da Addio mio Novecento)

lunedì 6 ottobre 2014

Paoletta.


Il forte silenzio
gettato sul tuo corpo
mi accompagna in questo paesaggio
di metano e di palestre
ecco il golf di lana spessa
sulle braccia vittoriose
della fanciulla campionessa
la cintura nera sul kimono
l’asfalto imbevuto
di peso buio.
Tutto è ancora qui
nelle segrete espansioni nella ginocchiera
che ci siamo scambiati
a fine gara: piove sul Fossati
e l’acqua ci sta accanto, l’acqua vera
del battesimo e del pianto
che spense la prima candelina,
quel polso leggero,
quel prendere netto.
Così finisce, così ci si inchina
colpo di grazia
nel corpo benedetto.

(Milo De Angelis)

venerdì 3 ottobre 2014

Non di questo presente bisogna.


Non di questo presente ora bisogna
vivere - ma in esso sì: non c'è modo,
pare, d'averne un altro, non c'è chiodo
che scacci questo chiodo. Nè a chi sogna

va meglio, che le più volte si infogna
a figuararlo, e fa più groppi al nodo
se cerca di disfarlo (sta nel todo
che si crede nel nada, sempre) o agogna,

ma con che lama? troncarlo. La mente
infortunata non ha altra fortuna,
dunque, che nel pensiero? Certo a niente

più la mia si consola che se in una
deposizione o un offertorio gente
dispersa solennemente s'aduna.

(Giovanni Raboni, da Altri Sonetti)


lunedì 29 settembre 2014

ti esploro, mia carne, mio oro, corpo mio, che ti spio, mia cruda carta nuda


ti esploro, mia carne, mio oro, corpo mio, che ti spio, mia cruda carta nuda,
che ti segno, che ti sogno, con i miei seri, severi semi neri, con i miei teoremi,
i miei emblemi, che ti batto e ti sbatto, e ti ribatto, denso e duro, tra le tue fratte,
con il mio oscuro, puro latte, con le mie lente vacche, tritamente, che ti accendo,
se ti prendo, con i miei pampani di ruggine, mia fuliggine, che ti aspiro, ti
(respiro,
con le tue nebbie e trebbie, che ti timbro con tutti i miei timpani, con le mie dita
che ti amano, che ti arano, con la mia matita che ti colora, ti perfora, che ti adora,
mia vita, mio avaro amore amaro:
io sono qui così, la zampa del mio uccello, di
(quello
che ti gode e ti vigila, sono la papilla giusta che ti degusta, la pupilla che ti vibra
e ti brilla, che ti tintinna e titilla: sono un irto, un erto, un ermo ramo, io che
ti pungo, mio fungo, io che ti bramo: sono pallida pelle che si spella, mia bella, io,
passero e pettirosso del tuo fosso: io la piuma, io l'osso, che ti scrivo: io, che ti
(vivo:

(Edoardo Sanguineti)

domenica 28 settembre 2014

Ballata delle donne.


Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

(versi di Edoardo Sanguineti, foto di Michela Magni)

giovedì 25 settembre 2014

Se mi stacco da te


6.

Se mi stacco da te, mi strappo tutto: 
                                                           ma il mio meglio (o il mio peggio)
ti rimane attaccato, appiccicoso, come un miele, una colla, un olio denso:
ritorno in me, quando ritorno in te: (e mi ritrovo i pollici e i polmoni):
tra poco atterro a Madrid:
                                         (in coda  qui all'aereo, selezionati miei connazionali,
gente d'affari, dicono numeri e numeri, mentre bevono e fumano, eccitati,
agitatamente ridendo):
                                     vivo ancora per te, se vivo ancora:

(Edoardo Sanguineti, da Corollario)

mercoledì 24 settembre 2014

Non si sa quanto verde...



I

Non si sa quanto verde
sia sepolto sotto questo verde
né quanta pioggia sotto questa pioggia
molti sono gli infiniti
che qui convergono
che di qui s’allontanano
dimentichi, intontiti
Non-si-sa          Questo è il relitto
di tale relitto piovoso
il verde in cui sta reticendo
                         l’estremo del verde
Forse non-si-sa      per un
Sordo movimento di luce si
distilla in un suono effimero, e sa
                 Forse si lascia sfiorare, si sporge,
                 congiunge
                 membra a membra, ritorce


(Andrea Zanzotto, da Meteo)


sabato 20 settembre 2014

Idea



E tutte le cose a me intorno
colgo precorse nell'esistere.
Tìepido verde il nitore dei giorni
occulta, molle li irrora,
d'insetti e uccelli s'agita e scintilla.
Tutto è pieno e sconvolto,
tutto, oscuro, trionfa e si prostra.
Anche per te, mio linguaggio, favilla
e traversia, per sconsolato sonno
per errori e deliqui
per pigri zie profonde inaccessibili,
che ti formasti corrotto e assoluto.
Anche tu mio brevissimo nitore
di cellule mentali, tronco alone
di gridi e di pensieri
imprevisti ed eterni.
Ed esanime il palpito dei frutti
e delle selve e della seta e dei
rivelati capelli di Diana,
del suo felice dolcissimo sesso,
e, agra e vivida, l'arsura
che all'unghie s'intromette ed alle biade
pronte a ferire,
e il mai tacente il mai convinto cuore,
tutto è ricco e perduto
morto e insorgente
tuttavia nella luce
nella mia vana chiarità d'idea.

(Andrea Zanzotto)

giovedì 18 settembre 2014

La morsa del salto.


Il desiderio è scivolare in sé,
è un ombelico interno che concentra
ogni energia, la rapida che preme
sul pettine ruggente della diga.

È scrimolo infernale, il punto-crisi
dell'acqua che sprofonda verso i quieti
allegretti del fiume. Ma mi si stringe
crudelmente la morsa del salto.

(Maria Luisa Spaziani)

martedì 16 settembre 2014

Realtà e metafora


Tu, realtà e metafora, luminoso
corpo dal doppio segno. Tu moneta
d'inscindibile faccia, bianco cigno
che ingloba il suo riflesso.

Penso all'abbraccio, e all'improvviso scende
in acque buie il mio vascello ebbro.
Confluiscono oceani. L'energia,
duraturo arabesco di fulmine.

(Maria Luisa Spaziani)

lunedì 15 settembre 2014

Darsi la mano di lontano è il gesto



Darsi la mano di lontano è il gesto
più assurdo, conturbante e surreale.
Tu sei vivo, e la stringo in certe notti
anche a Giacomo, Guido, Eugenio ed Emily.

Non c'è tesoro al mondo che non fossi
disposta a barattare, anche la vita,
se sfiorasse nel buio la mia mano
fra cinquant'anni un giovane poeta.

(Maria Luisa Spaziani. Le onde del tempo)




sabato 13 settembre 2014

In memoriam



Alla fine poteva anche non essere mai sceso dal treno
e stare là da prima di me ad aspettare qualcuno
nessuno o niente. Poteva anche essere un uccello imbalsamato
in via Pireòs o un cervo fossilizzato sopra gli scogli
– queste morti stanno dipinte dentro di noi senza ali,
senza musica, senza entrate e uscite, così restano morti
sottoterra, in tutti i tempi, sulla terra.
Alla fine potevo anche non essere io, ma un altro
arrivato da giorni alla stazione, sotto
l’orologio fermo, in attesa di un incontro
la domenica pomeriggio. Potevo anche essere la manifestazione
tradita, il disertore, l’entrata del vinto nel
ritratto della sua fama postuma, la droga.
Quel pomeriggio, trovammo il nostro volto. Non eravamo più
noi. Eravamo belli, allora. Cosa rara.


(Yòrgos Chronàs)

lunedì 8 settembre 2014

La verità, vi prego, sull'amore.


Dicono alcuni che amore è un bambino
e alcuni che è un uccello,
alcuni che manda avanti il mondo
e alcuni che è un'assurdità
e quando ho domandato al mio vicino,
che aveva tutta l'aria di sapere,
sua moglie si è seccata e ha detto che
non era il caso, no.

Assomiglia a una coppia di pigiami
o al salame dove non c'è da bere?
Per l'odore può ricordare i lama
o avrà un profumo consolante?
È pungente a toccarlo, come un prugno
o è lieve come morbido piumino?
È tagliente o ben liscio lungo gli orli?
La verità, vi prego, sull'amore.

I manuali di storia ce ne parlano
in qualche noticina misteriosa,
ma è un argomento assai comune
a bordo delle navi da crociera;
ho trovato che vi si accenna nelle
cronache dei suicidi
e l'ho visto persino scribacchiato
sul retro degli orari ferroviari.

Ha il latrato di un alsaziano a dieta
o il bum-bum di una banda militare?
Si può farne una buona imitazione
su una sega o uno Steinway da concerto?
Quando canta alle este è un finimondo?
Apprezzerà soltanto roba classica?
Smetterà se si vuole un po' di pace?
La verità grave, vi prego, sull'amore.

Sono andato a guardare nel bersò
lì non c'era mai stato;
ho esportato il Tamigi a Maidenhead,
e poi l'aria balsamica di Brighton.
Non so che cosa mi cantasse il merlo,
o che cosa dicesse il tulipano,
ma non era nascosto nel pollaio
e non era nemmeno sotto il letto.

Sa fare delle smorfie straordinarie?
Sull'altalena soffre di vertigini?
Passerà tutto il suo tempo alle corse
o strimpellando corde sbrindellate?
Avrà idee personali sul denaro?
È un buon patriota o mica tanto?
Ne racconta di allegre, anche se spinte?
La verità, vi prego, sull'amore.

Quando viene, verrà senza avvisare,
proprio mentre sto frugando il naso?
Busserà la mattina alla mia porta
o là sul bus mi pesterà un piede?
Accadrà come quando cambia il tempo?
Sarà cortese o spiccio il suo saluto?
Darà una svolta a tutta la mia vita?
La verità, vi prego, sull'amore.


(Wystan Hugh Auden)

domenica 7 settembre 2014

Le finestre



In queste buie stanze dove passo
giornate soffocanti, io brancolo
in cerca di finestre. Una se ne aprisse,
a mia consolazione. Ma non ci sono finestre
o sarò io che non le so trovare.
Meglio così, forse. Può darsi
che la luce mi porti altro tormento.
E poi chissà quante mai cose nuove ci rivelerebbero.

(Costantino Kavafis)

martedì 2 settembre 2014

Potrebbe non essere



Potrebbe non essere
questa luce che entra
filtrata dai miei occhiali
o l’aria calda del pomeriggio
a rendermi pulviscolo in aria.
Potresti essere tu
che ancora non sai
che a me basta davvero
accovacciarmi dietro al tuo orecchio
per smettere di respirare
senza rimpianto.

(Maria Luigia Longo, Poesie/Cantiere, 25 agosto 2014)

lunedì 1 settembre 2014

Prendo spazio dove sembra non ce ne sia



Prendo spazio dove sembra non ce ne sia.

Vederti è quel sapore che rimane
del pane appena sfornato
quando l’abbiamo appena mangiato.

(Maria Luigia Longo, Poesie/Cantiere, 1 settembre 2014)





domenica 31 agosto 2014

Figlia del vento / Hija del viento



Figlia del vento

Sono venuti.
Invadono il sangue.
Profumano a piume,
A mancanza, a pianto.
Però tu alimenti la paura
e la solitudine
come due animali piccoli
perduti nel deserto.

Son venuti
ad incendiare l’età del sogno.
Un addio è la tua vita.
Però tu ti abbracci
come la serpe pazza del movimento
che solo ritrova se stessa
poiché non c’è nessuno.

Tu piangi sotto il pianto,
tu apri il baule dei tuoi desideri
e sei più ricca della notte.

Però c’è tanta solitudine
che le parole si suicidano.

*****

Hija del viento

Han venido.
Invaden la sangre.
Huelen a plumas,
A carencia, a llanto.
Pero tú alimentas al miedo
y a la soledad
como a dos animales pequeños
perdidos en el desierto.

Han venido
a incendiar la edad del sueño.
Un adiós es tu vida.
Pero tú te abrazas
como la serpiente loca del movimiento
que sólo se halla a sí misma
porque no hay nadie.

Tú lloras debajo de tu llanto,
tu abres el cofre de tus deseos
y eres más rica que la noche.

Pero hace tanta soledad
que las palabras se suicidan

(Alejandra Pizarnik)

martedì 26 agosto 2014

Soltanto le notti

A Jean Aristeguieta, 
A Árbol de Fuego.

Scrivendo
ho chiesto, ho perso.
Stanotte, in questo mondo,
abbracciata a voi,
allegria di naufragio.
Ho voluto sacrificare i miei giorni e le mie settimane
alle cerimonie della poesia.
Ho implorato tanto
dall’abisso delle profondità
della mia scrittura.
Amare e morire non hanno aggettivi.

(versi di Alejandra Pizarnik, da “Textos de sombra. Poesia completa” e fotografia di Michela Magni)